Assoluzione (Patrick Flanery, 2012)

AssoluzioneSam

“Mi hanno detto che ci siamo incontrati a Londra, signor Leroux, ma non mi ricordo di lei”, dice, provando a tenere il corpo eretto, a raddrizzarlo anche dove il corpo si rifiuta. “E’ vero. Ci siamo incontrati. Ma solo per un momento.” In effetti non era stato a Londra ma ad Amsterdam. Lei ricorda la consegna di un premio, a Londra, dove io non c’ero. Io ricordo il convegno ad Amsterdam in cui parlai in qualità di promettente giovane esperto della sua opera. Allora mi strinse la mano con grazia. Rideva, aveva qualcosa della ragazzina ed era un po’ ubriaca. Questa volta non la vedo minimamente alterata. Non l’ho mai incontrata a Londra.

E poi c’è stata quell’altra volta ovviamente.

“La prego mi chiami Sam,” aggiungo. (Assoluzione, Garzanti, traduzione di Alba Bariffi).

[Sam

‘I’m told we met in London, Mr Leroux, but I don’t remember you,’ she says, trying to draw her body upright, making it straight where it refuses to be.

‘That’s right. We did meet. Just briefly, though.’ In fact it wasn’t in London but Amsterdam. She remembers an award ceremony in London where I wasn’t. I remember the conference in Amsterdam where I spoke, invited as a promising young expert on her work. She took my hand charmingly then. She was laughing and girlish and a little drunk. I can see no trace of intoxication this time. I’ve never met her in London.

There was the other time, too, of course.

‘Please, call me Sam,’ I say.]

 

Titolo impegnativo. Una parola sola – carica, densa, pesante. Immediata è l’associazione con la confessione che si conclude tradizionalmente con l’assoluzione, appunto. Da un lato, quindi, associamo la parola al concetto di colpa e alla sua dissoluzione/soluzione. Dall’altro la associamo al mondo della confessione, non tanto (o non solo) al confessionale, ma al racconto della propria vicenda personale, alla ricerca di un senso, di un filo che illumini le connessioni, le scelte e (anche) le colpe. Il titolo, di per sè, pone l’accento sulla risoluzione, per così dire, della colpa, ma inevitabilmente la evoca dato che non c‘è la seconda senza la prima.

Impossibile dire di che colpa o colpe si tratti, chi sia il colpevole e chi sia investito dell’autorità per assolvere. Altrettanto impossibile sapere se l’assoluzione riguarderà Sam – il personaggio il cui nome dà il titolo alla prima sezione – e in che maniera (come colpevole o come assolutore).

Entriamo quindi già carichi di domande legate ad un titolo forte ed opaco allo stesso tempo. Ci accoglie un dialogo tra Sam Leroux e la scrittrice – supponiamo – di cui ci viene immediatamente detto Sam è “un giovane esperto.” La scrittrice, che per il momento è ancora senza nome, è brava (riferimento ad un premio) e di una certa età (come la notazione del corpo che non si vuole del tutto raddrizzare suggerisce). Al di là delle importanti informazioni che ci vengono fornite, credo ci sia ben altro da cogliere in questo inizio apparentemente piano. Leggiamo lentamente: lei dice che le è stato riferito che ha incontrato Sam Leroux a Londra. Lui risponde “è vero ci siamo incontrati, ma solo per un momento.” Lei non ricorda (l’incontro le viene suggerito da qualcun’altro – un assistente, una segretaria) e lui mente, o dice una mezza verità, come specifica Sam che è il responsabile del racconto in prima persona.

La dinamica di questo dialogo è senza dubbio comprensibile e giustificabile sul piano pragmatico. E’ facile, infatti,  immaginare il contesto: una scrittrice di una certa età e di una certa fama che probabilmente ha una vita sociale piuttosto intensa non si può ricordare i dettagli degli incontri che fa. E un giovane accademico che non vuole certo contraddire l’anziana scrittrice, nè tantomeno metterla a disagio. Ma è altrettanto innegabile che la nota su cui si apre il romanzo riguarda il rapporto tra il dire e il vero, da un lato, e tra il ricordare e il vero dall’altro.

La frase criptica “e poi c’è stata quell’altra volta ovviamente” rincara la dose perchè apre una finestra sullo spazio opaco del non detto, lo spazio del silenzio del ricordo – uno spazio ovvio per chi ricorda, ma, per adesso, per noi inaccessibile.

Se è vero che le prime righe intonano quanto segue, ci aspettiamo che quell‘“ovviamente”   ci venga raccontato alla ricerca di un verità che potrebbe stare al di là del dire e al di là del ricordare.

[Assieme a Francesco Pasquale, converserò con Patrick Flanery a Padova, domenica 13 ottobre alle 19 nell’ambito della Fiera delle parole

http://www.lafieradelleparole.it/programma/2013-10-13-assoluzione.html ]

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